Umanità ferita fraternità ritrovata

Osservatore Romano

di Salvatore Martinez
30 marzo 2020

La sorpresa del potere salvifico della sofferenza

Molti stanno riscoprendo pagine di letteratura che descrivono gli effetti di improvvisi flagelli che si abbattono sul mondo, come accade nel tempo del coronavirus. Nel romanzo La peste, di Albert Camus, è interessante leggere la conclusione alla quale l’autore fa giungere il medico ateo Rieux: «Un mondo senza amore è come un mondo morto; viene sempre un’ora in cui ci si stanca delle prigioni, del lavoro e del coraggio, per domandare il viso di una creatura e un cuore che l’affetto riempie di stupore».

In questi giorni drammatici siamo sorpresi dal potere salvifico della sofferenza, dal miracolo di un amore nuovo, improvviso, che come un drammatico e provvidenziale dolore sta riscattando un mondo impaurito e ferito, che ritrova la voglia di vivere e di non morire, che torna ad esaltare le ragioni della vita dinanzi allo spirito di morte. Sì, la sofferenza. La sofferenza derivante dalla privazione delle nostre libertà fondamentali, dei nostri beni insopprimibili come la salute o l’affetto di un familiare o amico; la sofferenza di anziani e giovani contagiati o quella di medici e operatori che per spirito di servizio il contagio stanno subendo, hanno provocato il risveglio della nostra coscienza morale assuefatta al male, suscitato in noi un nuovo anelito di vita interiore, restituito la misura della nostra umanità, rivelato un nuovo desiderio di fraternità. Sono intimamente convinto che sarà proprio la “fraternità” il principio unificatore e ridefinitore delle nostre società all’indomani di questa severa prova; sarà lo “spirito della fraternità” a rendere più giuste e più vere tutte le nostre libertà individuali e collettive, ad accendere, per dirla con Camus, «un affetto che riempie di stupore».

Una pagina della Laudato si’ mostra tutta la sua forza profetica, allorquando Papa Francesco afferma: «Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo… Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà… Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente».

Questo “sentire”, non imposto da principi di solidarismo politico o di solidarietà sociale, ma dal “principio di fraternità”, si sta miracolosamente impossessando dei cuori umani: sarà il più potente antidoto al realismo della rassegnazione e a un futuro che apparrebbe senza speranza. Il coronavirus, seppure così infausto, sta permettendo alle anime di non restare più indietro e di non lasciarsi ancora contagiare dall’indifferenza umana. Come d’improvviso, divenuti più poveri, siamo spinti a sperare come fanno loro.

«I poveri ci insegnano a sperare» ci ricorda George Bernanos nel suo Diario di un curato di campagna: nulla hanno da perdere e ci insegnano che per vivere dobbiamo dipendere da Dio e gli uni dagli altri. Come d’improvviso, l’anziano, il migrante straniero, il diverso da me, il vicino più o meno prossimo non ci fanno più paura, non sembrano minacciare le nostre paci immobili e vengono benevolmente inclusi nel nostro comune destino. E, meraviglioso dono all’umanità smarrita e ripiegata su di sé, torniamo a pregare. Pregando sentiamo fluire in noi una nuova voglia di amare, recuperiamo non solo il dialogo vitale con Dio, ma anche con gli altri; diveniamo capaci di un linguaggio — i social lo attestano — che miracolosamente attenua accenti volgari e violenti.

Un bel sondaggio della swg, realizzato in Italia in queste ore, dà corpo a questo stupore, evidenziando “tempi nuovi” generati o, ancor meglio, spiritualmente rigenerati dal coronavirus. Più che in passato, il 19 per cento degli intervistati afferma di pregare e di seguire il proprio credo; il 27 per cento di dialogare con il congiunto in casa; il 29 di dialogare con i propri figli; il 38 di riflettere e pensare; il 36 di stare attento alla salute.

Nel Tempo di Quaresima, che mai come quest’anno ci ricorda il valore del Cristo sofferente, che si offre per riscattare tutte le ingiustizie del mondo, possiamo ascoltare e vivere le parole del profeta Zaccaria: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Zc 12, 10). Nell’ostensione del Corpo eucaristico innalzato al Cielo da Papa Francesco, nella Piazza cuore della cristianità, erano tutti i nostri sguardi di tenerezza, i nostri insopprimibili aliti di vita, le nostre speranze accese di passione, le nostre preghiere mute e gridate a Dio. Non è tenebroso e invalicabile il Cielo sopra di noi: le nostre trafitture saranno lenite da un balsamo di consolazione che scenderà benefico sull’umanità intera. La nostra Pasqua di sofferenza sarà solo e sempre Pasqua di salvezza, Pasqua di fraternità ritrovata.