La risurrezione in giorni di angoscia e di morte
Aggiungere parole a parole forse non si deve. Né si può avere la pretesa che le proprie parole siano meritevoli di ascolto e di riflessione più di quelle di altri. Eppure, quei paramenti rosa che alcuni presbiteri hanno indossato per celebrare online l’eucaristia della IV domenica di quaresima un segnale lo hanno mandato: la Pasqua si avvicina. Perché, quando la quaresima era un tempo di rigido digiuno ed evidenti privazioni, la liturgia invitava a fare un’interruzione: il viola cedeva il passo al rosa, il canto di ingresso si apriva con parole di allegria, era permesso sospendere i rigori del digiuno per poi ripartire per l’ultimo tratto di strada verso la celebrazione della madre di tutte le feste, la Pasqua.
Quel segnale rimbomba in questo tempo blindato, in questo susseguirsi di giorni tutti uguali, tutti appesi, come il ragno alla tela, a pochi fili sottili: la Pasqua si avvicina, ma noi non possiamo interrompere i rigori di una quaresima che ha preso il nome e le fattezze di una interminabile quarantena né sappiamo se festeggeremo la Pasqua, visto che ci saranno precluse le antiche celebrazioni religiose, ma ci saranno anche interdetti i nuovi riti della transumanza consumistica.
Ministre e ministri di un mondo ormai cambiato
Nonostante ciò, il tumulto delle voci continua a crescere. Si rincorrono e cercano di sopraffarsi l’un l’altra come non mai, in una sarabanda di campane, megafoni, media tradizionali e nuovi social ormai intasati da rosari, messe, mille diverse forme di predicazione biblica o di esortazioni spirituali. Colpisce la fragorosa oscillazione tra riesumazioni di arcaiche superstizioni, così poco cristiane, e puerili tentativi di recuperare terreno nei confronti della scienza che si impone invece con parole di sapienza e, ancor di più, con la testimonianza di operatrici e operatori sanitari, veri e propri “ministri” di un mondo ormai cambiato: testimonianza in greco si dice martyria, e il loro servizio arriva a volte fino al martirio; il loro “ministero”, poi, non prevede discriminazioni, ma vede schierati in prima fila sia donne che uomini.
Forse le Chiese dovranno riflettere su questi uomini e queste donne a che appaiono come Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, due discepoli nascosti che deposero dalla croce «il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi» (Gv 19,40). Speriamo di saperlo fare, quando finalmente vedremo la fine di questa “ora” in cui sembra che la morte sia più forte di ogni speranza, e ci verrà chiesto di testimoniare che credere nella risurrezione non significa credere nel ritorno in vita di un cadavere.
Si stanno delineando nuove forme di sacramentalità laica, e possiamo esserne fieri perché, se è vero che alla crescita dell’aspettativa di vita ha contribuito e contribuisce grandemente la scienza, è altrettanto vero che alla bellezza e alla qualità della vita hanno dato e danno un contribuito essenziale il Vangelo di Gesù, con la sua tensione verso il Regno di giustizia e di pace e con il suo comando della diaconia, e tutti quegli uomini e quelle donne che lo hanno annunciato e testimoniato.
Il segno da cui ripartire
La Pasqua si avvicina ma, oggi più che mai, angoscia, sopraffazione e morte non sono rubricabili a un rapido passaggio obbligato verso il radioso mattino della vittoria. Il triduo pasquale andrà avanti per lunghi giorni e forse mesi, e dovremo interrogarci seriamente sul monito di Gesù: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona» (Lc 11,29). Parole rivolte non a tutti, ma ai credenti. Al bisogno di magia più che di profezia non verrà concesso nulla. Né sarà certo il calendario liturgico a decidere quanto a lungo dovremo restare quest’anno nel buio della pancia della balena.
I tempi della fede non sono certo quelli dell’epidemia. Per questo, comunque, anche senza messe o scampagnate, è Pasqua se riusciamo a capire che uno solo ormai è il segno da cui ripartire: non dobbiamo cercare tra i morti colui che è vivo.